Onorevoli Colleghi! - Come è noto, la materia dell'adozione ha subìto notevoli mutamenti per gli interventi legislativi che si sono susseguiti.
      Il codice civile del 1942 prevedeva una sola figura di adozione, quella di antica tradizione, diretta a consentire ad una persona che avesse compiuto i cinquanta anni, priva di figli (per non averli mai avuti o per averli perduti), di assumere come figlio una persona, di età inferiore di almeno diciotto anni, cui trasmettere il proprio nome e i propri beni.
      Successivamente, si è sviluppato il movimento per assicurare ai minori abbandonati un'adeguata sistemazione familiare: si giunse, così, alla legge 5 giugno 1967, n. 431 (cosiddetta legge «Dal Canton»), la quale introdusse nel codice il nuovo istituto della «adozione speciale», detta anche «adozione legittimante», consentita soltanto a persone coniugate e conviventi (mai, quindi, a persone sole) nei confronti di minori di anni otto, privi di assistenza morale e materiale da parte dei loro genitori o dei parenti tenuti a provvedervi.
      Peraltro la coesistenza delle due figure di adozione si rilevò fonte di notevoli problemi di coordinamento, mentre la macchinosità della procedura per pervenire all'adozione speciale e le resistenze spesso opposte dalla famiglia di origine del bambino adottando hanno determinato un vasto contenzioso giudiziario, con conseguenti drammatiche incertezze circa la sorte dei bambini contesi.
      È per queste ragioni che il Parlamento affrontò, con la legge 4 maggio 1983,

 

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n. 184, il compito della revisione di tutta la materia, a seguito della quale, accanto all'adozione tradizionale conservata solo per le persone maggiori di età, fu deciso di attribuire una posizione centrale e prevalente all'adozione «speciale» denominata semplicemente «adozione» (senza, dunque, aggettivi), la quale venne estesa a tutti i minori, senza limiti di età.
      La figura principale di adozione, destinata ad assicurare una famiglia ai minori che versano in stato di abbandono, è, dunque, ora disciplinata esclusivamente dalla citata legge n. 184 del 1983, la cui applicazione, ormai più che ventennale, ha, tuttavia, evidenziato come il complesso meccanismo procedurale mirante a garantire gli interessi del minore e a consentire altresì alla sua famiglia d'origine di opporsi all'adozione, ove ne manchino i presupposti, abbia disatteso il fondamentale principio secondo cui è diritto di ogni famiglia, che ne abbia desiderio e possibilità, adottare, dopo adeguate e tempestive istruttorie, un minore abbandonato. Troppo spesso, infatti, accade che alle croniche carenze che caratterizzano il settore assistenziale si aggiunga la lentezza, senza alcun dubbio «patologica», dello svolgimento delle procedure di adozione da parte del tribunale per i minorenni. Già gravato da altre delicatissime incombenze, il tribunale per i minorenni, a seguito della riforma del 1983, partecipa attivamente a più fasi procedimentali che potrebbero, al contrario, essere svolte dai servizi socio-assistenziali deputati ad acquisire, in virtù del loro peculiare ruolo, tutti gli elementi di analisi più idonei per «tastare il polso» non solo dei minori, ma anche delle famiglie accoglienti.
      Purtroppo, invece, i numerosi coniugi che aspirano ad inserire l'adottando nella propria famiglia si ritrovano invischiati in procedure burocratiche che richiedono tempi irragionevolmente lunghi.
      Ogni anno, in Italia, pochi bambini trovano una famiglia a fronte, invece, di migliaia e migliaia di richieste di adozione che non ricevono pronta soddisfazione. È un dovere, pertanto, del Parlamento fare in modo che le procedure siano semplificate, così da onorare il diritto dell'infanzia di ricevere affetto, educazione, istruzione e cure adeguate.
      Al fine, quindi, di snellire i tempi tecnici e rendere quanto più possibile trasparente l'operato dei soggetti coinvolti nel processo di formazione della volontà giuridica, la presente proposta di legge introduce apposite disposizioni nella legge 4 maggio 1983, n. 184. Si prevede, inoltre, una revisione dei termini procedurali, che s'impongono non più come ordinatori, bensì come perentori. La predetta normativa, infine, impegna le regioni ad assicurare un intervento diretto ed incisivo sul funzionamento delle strutture socio-assistenziali del comune di residenza, sia in caso di inerzia delle medesime, sia in caso di diniego all'affidamento familiare.
      Secondo l'impianto normativo prospettato dalla presente proposta di legge, la dichiarazione di disponibilità da parte dei coniugi che intendono adottare un bambino non deve essere più resa al tribunale per i minorenni, bensì ai servizi socio-assistenziali del comune di residenza. Saranno, quindi, i servizi socio-assistenziali ad avviare le procedure d'indagine riguardanti la capacità dei genitori ad educare il minore, la situazione economica e i motivi per i quali intendono procedere all'adozione e, di conseguenza, ad effettuare l'abbinamento della coppia al minore. Tutto ciò entro il termine perentorio di sessanta giorni, trascorso il quale, se nulla osta, sarà il servizio sociale stesso ad emanare un provvedimento motivato con il quale si dichiarerà l'idoneità degli aspiranti genitori ad adottare e si trasmetterà tutta la relativa documentazione d'indagine, comprensiva del provvedimento, al tribunale per i minorenni. Entro trenta giorni dalla ricezione di tale documentazione, il tribunale disporrà, sulla base di quanto stabilito in sede amministrativa, l'ordinanza di affidamento pre-adottivo alla coppia prescelta.
      Qualora i servizi socio-assistenziali non rispettino i termini previsti, ovvero in caso di diniego del provvedimento di idoneità, gli aspiranti genitori possono richiedere l'intervento della competente agenzia regionale per le adozioni, che ogni regione è tenuta ad istituire con apposita legge.
 

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